Entro il 2100 la popolazione mondiale umana andrà incontro a uno storico calo, dopo un’impennata che la porterà a circa 9,7 miliardi di individui nel 2064 (attualmente si attesta a 7,8 miliardi di persone). Si prevede infatti che dopo aver toccato il picco, atteso fra 44 anni, il numero di esseri umani si ridurrà a 8,8 miliardi. L’ultima volta che fu registrata una decrescita demografica globale è accaduto durante il XIV secolo, nel Medioevo, a causa della diffusione della “peste nera”, una pandemia di Yersinia pestis che si stima uccise decine di milioni di persone, tra le quali un terzo di tutta la popolazione europea.
A determinare il crollo demografico, che avrà un impatto significativo sugli scenari geopolitici mondiali, è stato un team di ricerca dell’Università di Washington coordinato dai professori Stein Emil Vollset e Christopher J L Murray, docenti presso l’Institute for Health Metrics and Evaluation della Facoltà di Medicina dell’ateneo di Seattle. Gli scienziati sono giunti alle loro conclusioni dopo aver messo a punto un modello matematico in grado di stimare l’impatto di fattori come mortalità, declino della fertilità, migrazioni e cambiamenti climatici sulla popolazione globale umana dei prossimi otto decenni. Come base hanno utilizzato i preziosi dati del Global Burden of Disease Study del 2017, che viene definito dall’autorevole rivista scientifica The Lancet “lo studio epidemiologico di osservazione più completo al mondo condotto fino a oggi”.
Come indicato, la popolazione globale umana subirà un’impennata fino al 2064, per poi iniziare a ridursi in modo significativo alla fine del secolo. Questo è tuttavia il dato globale, poiché dal modello matematico prodotto dagli scienziati americani emergono sostanziali differenze fra le diverse aree geografiche. Diversi Paesi fra i quali Spagna, Italia, Portogallo, Giappone, Thailandia e Corea del Sud subiranno un crollo della popolazione superiore al 50 percento. È un dato che non deve stupire soprattutto per il nostro Paese, tenendo presente il tasso di natalità bassissimo (1,34 nascite per donna nel 2017). Anche la Cina, con la sua popolazione di circa 1,4 miliardi di individui e considerato dall’opinione pubblica uno di quelli in rapida crescita demografica, in realtà entro il 2100 subirà un crollo drammatico, con una popolazione letteralmente dimezzata rispetto a oggi. Secondo Stein Emil Vollset e colleghi la popolazione cinese entro il 2100 sarà soltanto di 732 milioni di persone.
Per contro, altri Paesi come quelli dell’Africa sub-sahariana, del Medio Oriente e del Nord Africa avranno un vero e proprio boom di nascite: nel caso della prima si stima una popolazione addirittura triplicata, dato che passerà da 1,03 a 3,07 miliardi di persone entro il 2100. Tutto questo avrà un impatto significativo sugli equilibri geopolitici mondiali. Si stima che la Cina nel 2035 diventerà la prima potenza economica del pianeta, ma gli Stati Uniti dovrebbero riprendersi lo scettro appena prima della fine del secolo. Naturalmente si tratta di stime che possono essere fortemente influenzate da numerosi fattori, come guerre, carestie, pandemie e molto altro ancora, diversi dei quali contemplati nel modello matematico dell’Università di Washington.
Secondo il professor Stein Emil Vollset, intervistato da IFLScience, ci sono due fattori principali che possono spiegare questo crollo della popolazione mondiale: “i miglioramenti nell’accesso ai contraccettivi e l’educazione delle ragazze e delle donne”. “Questi fattori – ha spiegato lo scienziato – guidano il tasso di fertilità: il numero medio di bambini che una donna genera durante la sua vita, che è il principale fattore determinante della popolazione. Si prevede che il tasso di fertilità totale globale diminuirà costantemente, da 2,37 nel 2017 a 1,66 nel 2100, ben al di sotto del tasso minimo (2,1 nati vivi per donna) ritenuto necessario per mantenere il numero della popolazione”. I dettagli della ricerca “Fertility, mortality, migration, and population scenarios for 195 countries and territories from 2017 to 2100: a forecasting analysis for the Global Burden of Disease Study” sono stati pubblicati sull’autorevole rivista scientifica The Lancet .