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IL COLLE – Quando il Presidente della Repubblica riceve le dimissioni del presidente del Consiglio può decidere, dopo consultazioni dei gruppi parlamentari, di conferire un mandato esplorativo a un personaggio istituzionale (nel 2018 Mattarella lo conferì ai presidenti di Camera e Senato), o dare il mandato pieno o esplorativo al presidente del Consiglio uscente (che accetterebbe con riserva), oppure direttamente avviare proprie consultazioni al Quirinale: con i presidenti delle Camere, i rappresentanti dei gruppi parlamentari di Camera e Senato e il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano.

Le consultazioni gli servono per constatare la situazione e, di conseguenza, assumere decisioni sulla nomina di un nuovo presidente del Consiglio o, eventualmente, sul conferimento di un altro mandato esplorativo. L’ultima ratio, in caso di impossibilità accertata di formare un nuovo esecutivo, è che decida di sciogliere le Camere per andare a elezioni.

GLI AFFARI CORRENTI – Con le dimissioni, e fino al giuramento di un nuovo esecutivo nelle mani del Capo dello Stato, il governo uscente rimane in carica per lo svolgimento degli affari correnti. Tra questi rientra l’eventuale emanazione di decreti legge in casi di necessità e urgenza.

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IL PARLAMENTO – In mancanza del rapporto fiduciario, con la crisi di governo si ferma tutta l’attività parlamentare, eccetto che per gli atti urgenti come la conversione dei decreti legge in scadenza. L’attività ordinaria delle Camere riprende solo dopo che il nuovo esecutivo avrà incassato la fiducia da entrambe le Camere.

LA RELAZIONE SULLA GIUSTIZIA – In base alla riforma della legge sull’Ordinamento giudiziario del 2005, entro il ventesimo giorno dalla data di inizio di ciascun anno giudiziario, il ministro della Giustizia rende comunicazioni (cui segue un voto) alle Camere sull’amministrazione della giustizia nel precedente anno. La relazione (in calendario alla Camera per mercoledì 27 gennaio) è di fatto propedeutica alla inaugurazione dell’Anno Giudiziario in Cassazione.

Tuttavia, si registrano due precedenti di relazioni presentate ma non votate. Il primo è stato nel 2008, quando l’allora Guardasigilli Clemente Mastella si recò in Aula a Montecitorio per tenerla a poche ore dall’arresto (ai domiciliari) della moglie Sandra Lonardo. Mastella parlò alla Camera e andò a dimettersi, per cui non ci fu un voto sulla relazione. L’unico precedente di relazione tenuta durante un governo dimissionario risale, invece, all’epoca di Mario Monti nel 2013. Si decise in quella occasione di dare per assolto l’obbligo con la semplice trasmissione della relazione alle Camere senza svolgere le comunicazioni in Aula.

QUINDI COSA POTREBBE ACCADERE?

Il presidente del Consiglio Conte ha annunciato ai suoi ministri le sue dimissioni in un Consiglio dei Ministri, fissato per questa mattina alle 9. Poi salirà al Colle. L’accelerazione si è resa necessaria in vista del voto in Parlamento di mercoledì 27 gennaio sulla relazione sulla Giustizia del ministro Bonafede.

L’esecutivo, a differenza di quanto avvenuto per il voto di fiducia della scorsa settimana, rischia di andare sotto. È possibile infatti che Conte non abbia i numeri, e non riesca ad allargare la sua maggioranza, accogliendo eventuali responsabili, prima del test in Aula.

A quel punto l’ipotesi più probabile sarebbe quella di un reincarico, dopo brevi consultazioni. Sia Pd sia M5s blindano infatti ‘l’avvocato del popolo’, che potrebbe provare a formare un nuovo governo, con una squadra di ministri rinnovata: sarebbe la nascita del Conte ter.

Non si fermano in queste ore le trattative serrate con pezzi di Italia Viva, e con esponenti di Forza Italia. Anche se il leader azzurro Silvio Berlusconi ha ribadito che il suo partito è compatto e ha smentito le indiscrezioni: “Nessuna trattativa è in corso, né ovviamente da parte mia, né di alcuno dei miei collaboratori, né di deputati o senatori di Forza Italia, per un eventuale sostegno di qualunque tipo al governo in carica”.

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