Riccardo Ehrman ha festeggiato qualche giorno fa il suo novantunesimo compleanno: 31 anni fa, da giornalista corrispondente dell’Ansa a Berlino, fu l’uomo che mise fine alla Guerra fredda con due parole: “Ab wann?” che tradotto sarebbe “Da quando?”
Nato il 4 novembre 1929, visse la Seconda Guerra Mondiale in un campo di internamento e fece terminare la Guerra Fredda con tre domande: Riccardo Ehrman, l’italiano che contribuì alla caduta del muro di Berlino.
Ehrman venne deportato nel ’42 nel campo di prigionia di Ferramonti di Tarsia assieme alla famiglia e liberato poi l’anno seguente, dagli inglesi. Superata la guerra, intraprese gli studi in giornalismo.
Terminati gli studi entrò all’Ansa e, quasi per legittima contrapposizione a quell’esperienza di costrizione, iniziò a girare il mondo da corrispondente. Nel 1976 finì a Berlino, che allora era il centro del mondo diviso tra i due blocchi. All’epoca viveva a due passi da Alexanderplatz, in un appartamento di stato pieno di microspie:
“Ce n’ erano perfino nel bagno e in camera da letto’’, raccontò lui stesso.
Era un buon giornalista, Riccardo: un reporter d’agenzia, con pochi fronzoli nella scrittura e fonti solidissime. Una di queste era Gunther Potsche, direttore dell’agenzia di informazione della Germania Est. Rinnovatore del Partito comunista, che in fondo voleva abbattere il muro.
La mattina del 9 novembre 1989, Riccardo ricevette una telefonata nel suo ufficio di corrispondenza: Potsche, senza presentarsi con nome e cognome ma con un nome in codice (i telefoni erano sorvegliati) – gli disse che c’era
“un grande dibattito nel gruppo dirigente del partito: che il giorno prima si erano decise graduali aperture nella legge di viaggio che di fatto impediva l’espatrio ai cittadini della Ddr”.
È il 9 novembre, il muro inizia a mostrare le prime crepe, l’intero blocco comunista è prossimo alla sua fine. Da tempo si parla di permettere ai cittadini di Berlino Est di poter varcare il confine e andare nella parte Ovest della città, ma finora non c’è stato nulla di concreto. Quel giorno è attesa una conferenza stampa da parte dei dirigenti comunisti della Ddr. Il resto è piccola storia, equivoco, fraintendimento, ritardo e sciatteria: il tutto è diventato leggenda.
Tutto cominciò con un ritardo.
Riccardo arrivò alla conferenza per ultimo. “Girai a lungo nel parcheggio del ministero: non trovavo posto”. Nella sala già piena di giornalisti si sedette alla base del podio degli oratori, sui gradini. Dall’altra parte, tra gli oratori, c’era nervosismo. A coordinare la conferenza era Gunter Schabowski, un portavoce del governo arrivato pure lui in ritardo e con poche informazioni di scorta. Al momento delle domande, Riccardo rivolgendosì a Schabowski:
“Lei ha parlato di errori, non crede che sia stato un grande errore: quello di annunciare poche settimane fa una legge di viaggio che non era tale?”
La domanda fu secca e precisa: “la smettete di illudere i tedeschi, facendogli credere che possano andare a Berlino ovest?” Schabowski, impreparato, rispose: “I tedeschi dell’est possono espatriare senza dare spiegazioni”.Ehrman, capendo di essersi imbattuto in qualcosa, incalzò con una seconda domanda: “(il viaggio, ndr) Vale anche per Berlino ovest?”. “Sì”, rispose il funzionario di partito. Fu però la terza domanda ad entrare nella storia.
“Ab wann? (Da quando?, ndr)”. “Da subito”.
Uno dei maggiori dirigenti della Ddr aveva appena detto che i tedeschi potevano lasciare Berlino est e andare a salutare i propri cari a Berlino ovest. Ma nessuno, in quella sala, capì immediatamente quello che era successo. Nessuno tranne, forse, Riccardo. L’uomo si precipitò al telefono e chiamò Roma:
“Dissi che era caduto il muro. Commentarono: ‘Riccardo è impazzito’”
Cadde, il Muro, quella sera. Pure prima. Leggenda vuole che Harald Jäger, l’ufficiale che presiedeva uno dei varchi più importanti di Berlino, seguì la conferenza in diretta tv. E dopo aver sentito quello scambio tra Ehrman e Schabowski ordinò ai suoi di alzare la sbarra.