Al carcere di Opera l’arte abbatte i muri: detenuti firmano un murales che trasforma la palestra
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Al carcere di Opera l’arte abbatte i muri: detenuti firmano un murales che trasforma la palestra

Nel cuore del carcere di Opera, alle porte di Milano, qualcosa è cambiato. I muri grigi e spogli della palestra si sono trasformati in una grande tela condivisa, un murales zebrato in bianco e nero che gioca con la percezione visiva, dando l’illusione di profondità, rilievi e incavi. Dove prima c’era solo cemento, ora c’è arte. E soprattutto, ci sono sorrisi.

A realizzarlo sono stati una decina di detenuti, in collaborazione con l’artista Carlo Galli, nell’ambito del progetto “Superfici dell’Immaginazione”. L’iniziativa è stata promossa dall’Accademia di Brera, con il sostegno dell’associazione Le Arti, di Viafarini e voluta fortemente da Alessandro Pellarin, presidente di Artàmica.

Non è solo un’opera murale. È un processo creativo e umano che ha coinvolto detenuti con storie e reati diversi: omicidio, reati informatici, spaccio. Persone che, in questo percorso artistico, hanno trovato uno spazio per esprimersi e riflettere, lontano dalla rigidità quotidiana della detenzione.

“Finché non l’abbiamo terminato, non eravamo sicuri del risultato,” racconta Stefano Barca, 40 anni, camicia ben stirata e occhi lucidi. È uno dei detenuti che ha preso parte al progetto, e mentre parla guarda con orgoglio l’opera che ora decora il luogo dove si allena.

L’intervento artistico, oltre ad abbellire un ambiente solitamente grigio, ha portato un momento di leggerezza e collaborazione all’interno del penitenziario. “L’arte non redime, ma umanizza,” afferma Pellarin. “In carcere ogni gesto creativo diventa un atto di resistenza, uno spiraglio di libertà interiore.”

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Il murales è lungo diversi metri e richiama le illusioni ottiche dei maestri dell’arte contemporanea. La sua forza non sta solo nell’estetica, ma nella sua origine: mani che hanno sbagliato, oggi hanno dipinto.

Un progetto che dimostra come la cultura, anche dietro le sbarre, possa diventare strumento di rinascita. Perché a volte, anche in carcere, si può ricominciare da un pennello.

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