saturimetro 2 2
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La malattia provocata dal Sars-CoV-2, soprattutto quando colpisce persone giovani e in buona salute, può essere curata tra le mura domestiche nella maggior parte delle situazioni, senza aumentare la pressione sulla rete ospedaliera. Ecco dei consigli utili.

Gli scenari possibili da considerare sono due. Uno rimanda a una persona in buona salute o con sintomi blandi e molto vaghi (paucisintomatica), che ha avuto un contatto stretto con un positivo ed è in attesa del tampone. L’altro è riferito invece a chi ha dei sintomi compatibili con il Covid-19, anche in questo caso però non ancora confermato dal tampone molecolare.

Come comportarsi, in questi casi?

 Il primo passo da compiere – sempre con l’ausilio del medico di medicina generale – è la valutazione delle condizioni di chi è un «sospetto» infetto.

Le forme lievi, come tali gestibili tra le mura domestiche, possono essere caratterizzate dalla tosse, dalla febbre, dal mal di gola e, più in generale, da un malessere diffuso a tutto il corpo. Non è detto che questi sintomi siano presenti contemporaneamente, anche se la tosse è considerata il minimo comune denominatore di tutte le infezioni sintomatiche.

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Un caso di Covid-19 più serio e preoccupante è invece accompagnato da un calo importante della pressione arteriosa (ipotensione), dall’emissione di sangue con la tosse (emottisi), dalla difficoltà a respirare (si può andare dalla dispnea fino all’insufficienza respiratoria).

Particolare attenzione deve invece essere posta se il possibile infetto è affetto da una malattia cronica quale il diabete di tipo 2, la Bpco, l’anemia, l’insufficienza renale cronica, un tumore o una malattia autoimmune in corso di trattamento.

Quanto all’età, partendo dalle informazioni deducibili dai rapporti sulla mortalità, i pazienti più a rischio sono gli ultraottantenni: a cui è sempre raccomandato il ricovero in ospedale. A partire dall’avvento della terza età, in ogni caso, la valutazione deve essere «ad personam». Toccherà al medico di base – con cui il rapporto in questa fase deve essere quotidiano – dare o meno l’indicazione al trasferimento in ospedale.

Una volta identificato il paziente che si ha di fronte e completata la diagnosi Covid, occorre capire se avviare il trattamento o meno.

IL CASO ASINTOMATICO

Al momento, di fronte a un infetto asintomatico, non vi è un’indicazione a riguardo. Questa è la situazione in cui si ritrova il contatto stretto di un positivo che, in buona salute, scopre soltanto attraverso il tampone di essere stato contagiato.

Al di là dell’isolamento domiciliare, obbligatorio, nel suo caso non è raccomandata l’assunzione di farmaci.

CASO SINTOMATICO ( ANCHE LIEVE )

Diverso invece è il discorso se dei sintomi ci sono, seppur blandi.

PARACETAMOLO, ACQUA E SEDATIVI PER LA TOSSE

Nel caso in cui si renda necessario trattare la febbre, è consigliato «l’uso del paracetamolo, unito all’abbondante idratazione per via orale e all’uso di sedativi per la tosse, al bisogno».

ANTIBIOTICI DA ASSUMERE IN POCHI CASI

 Gli antibiotici devono essere prescritti a chi sta affrontando il Covid-19 tra le quattro mura di casa?

«È fortemente sconsigliato l’utilizzo di azitromicina», si legge nel vademecum redatto dai medici lombardi. Una risposta che si allinea al parere dato dall’Agenzia Italiana del Farmaco quando sembrava che la terapia antibiotica in abbinamento con l’idrossiclorochina potesse funzionare.

Una sola è l’eccezione contemplata: «Fatti salvi quei casi in cui vi sia il fondato sospetto di una contestuale infezione batterica».

Tradotto: i macrolidi (categoria di antibiotici a cui appartiene l’azitromicina) non sono da utilizzare a scopo preventivo, ma soltanto quando l’evoluzione delle condizioni del paziente lascia supporre la comparsa di una (contestuale) infezione provocata da un batterio.

In questi casi (anche se non è possibile accertare la causa dell’eventuale nuovo patogeno) si può fare riferimento all’azitromicina, che in diversi studi si è rivelata in grado di mitigare la risposta infiammatoria: uno dei fenomeni che contribuisce a complicare la malattia provocata dal coronavirus. Si ricorda di assumere anche la protezione gastrica 40 mg.

I medici ricordano come non basti osservare una ripresa della febbre (dopo un primo calo della temperatura) per essere certi della presenza di una sovrainfezione.

CORTISONE: SI O NO?

Nel documento viene dato ampio spazio anche all’uso della terapia cortisonica, usata con efficacia nei pazienti più gravi.

Partendo da questo assunto, i medici sostengono che sia «ragionevole l’uso di analoga terapia anche a domicilio», categorizzando però i pazienti a cui potrebbe essere riservata.

Ovvero: coloro che mostrano una saturazione d’ossigeno inferiore al 94 per cento (da qui l’importanza di munirsi di un saturimetro in casa), hanno la febbre da 5-7 giorni o una polmonite diagnosticata dal medico dopo la visita o con un’ecografia.

Quanto al dosaggio, l’indicazione è quella di assumere 6 milligrammi al giorno di desametasone (per via orale o endovena), per un massimo di dieci giorni.

L’Agenzia Italiana del Farmaco ricorda però come questa indicazione potrebbe non essere valida se i pazienti infetti soffrono anche di coliteulcerosa, ascessidiverticoliteulcera pepticainsufficienza renaleosteoporosiglaucoma, miastenia grave ipertensione.

In questi casi l’uso del cortisone non è da escludere a priori, ma da valutare caso per caso.

IN QUALI CASI OCCORRE L’EPARINA

Sempre partendo da quanto osservato nei pazienti ospedalizzati, i camici bianchi hanno approfondito anche la possibilità di prescrivere l’eparina a basso peso molecolare (enoxaparina) a chi convive con il Covid-19 tra le mura domestiche.

L’obbiettivo, in questo caso, è prevenire la comparsa di fenomeni di ipercoagulabilità e trombosi, possibili complicanze di Covid-19.

Da qui l’indicazione rivolta agli infetti che presentino una o più di queste condizioni: più di 65 anni, essere obesi (indice di massa corporea superiore a 30), essere dei malati oncologici in trattamento (la stessa indicazione riguarda chi indossa ancora un catetere venoso centrale), avere già un precedente di trombosi venosa o tromboembolia polmonare alle spalle, essere da poco reduci da un intervento chirurgico, da un lungo periodo di immobilizzazione o essere incinte, fare uso di contraccettivi orali o della terapia ormonale sostitutiva, soffrire di una trombofilia congenita.

Per quanto tempo assumere la terapia antitrombotica?

Secondo gli esperti, sebbene le prove a riguardo siano deboli, «fino alla completa scomparsa dei sintomi clinici e alla piena ripresa funzionale del paziente».

QUANDO RICORRERE ALL’OSSIGENO?

Il ricorso all’ossigenoterapia nei pazienti curati a domicilio è indicato – sempre dopo consulto medico – a fronte di una saturazione inferiore a 94 o nel caso in cui le condizioni del paziente ne suggeriscano la somministrazione a priori.

In questi casi, però, è opportuno che il suo stato di salute venga monitorato almeno due volte al giorno (anche telefonicamente).

Nel rammentare quanto sia raccomandato vaccinarsi contro l’influenza e lo pneumococco, i medici lombardi ricordano comunque che «al momento, nessun trattamento ha dimostrato un chiaro beneficio in pazienti la cui severità imponga l’ospedalizzazione».

Covid-19, in sintesi, può essere gestito a casa fino a un certo punto (ma non con il fai-da-te). Ma se la progressione della malattia non si arresta, l’unica risposta può essere trovata all’interno di un ospedale.

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