On the Wall, la nuova mostra al Building di Milano sarà visibile dal 20 gennaio fino al 19 marzo 2022. Ecco tutte le informazioni utili.
On the Wall a Milano
Il progetto espositivo, che include più di quaranta opere di artisti contemporanei che utilizzano la pittura figurativa in modo profondamente diverso tra loro, è stato appositamente studiato per i quattro piani di BUILDING. I dipinti, realizzati per questa mostra o mai esposti prima in Italia, sono in buona parte di grande formato.
Il titolo della mostra apre a diversi significati. Se da una parte lascia prevedere che si tratti di una mostra di dipinti, dall’altra richiama il concetto di muro come elemento di divisione tra due spazi adiacenti o come limite da superare.
Per quanto il medium utilizzato dagli artisti in questa collettiva sia la pittura, On the Wall
rende evidente una forte diversificazione dei linguaggi e degli intenti degli artisti in mostra. In On the Wall Paparoni ha circoscritto la propria scelta esclusivamente all’ambito della pittura figurativa, diversamente dalla mostra Contemporary Chaos, curata nel 2018 al Vestfossen Kunstmuseum (Norvegia), o ancora in altre esposizioni, in cui il critico aveva dato una rappresentazione plastica del caos dei linguaggi contemporanei, mettendo in dialogo artisti che utilizzano mezzi espressivi diversi. Il progetto presso BUILDING si propone inoltre come un proseguimento della riflessione iniziata con la mostra Le Nuove Frontiere della Pittura (2018), e continuata con L’Ultima Cena dopo Leonardo (2019), nell’ambito delle celebrazioni del centenario della morte di Leonardo, tenutesi entrambe alla Fondazione Stelline di Milano.
Nei dipinti di Justin Mortimer (Cosford, 1970) osserviamo ad esempio il riproporsi di un uomo malato sdraiato in un letto, accanto ad attrezzi medici o oggetti come un cellulare o un computer che rimandano alla contemporaneità. L’infanzia dell’artista è stata segnata, tra l’altro, da un intervento chirurgico a una gamba a causa di complicazioni durante il parto e al trauma dei diversi trattamenti e operazioni che lo hanno accompagnato nel corso della sua vita. Vibeke Slyngstad (Oslo, 1968) ci mostra invece frammenti di paesaggi visti attraverso un obiettivo fotografico che cattura bagliori di luce, bagliori che l’artista lascia
entrare nel dipinto, dichiarando così che si è avvalsa del filtro di un mezzo elettronico. Eppure questo è il suo modo di rapportarsi al romanticismo. Rafael Megall (Rafael Melikyan, Yerevan, 1983) racconta il presente con evidenti richiami alla cultura armena, intrappolando immagini in una rete di decori che appartengono alla sua tradizione. Immagini che risentono però anche di suggestioni che hanno origine dal cinema o dal
mondo dei cartoon. Da parte sua Nicola Samorì (Forlì, 1977) manipola la storia dell’arte riscrivendo le singole narrazioni elette, di volta in volta, a soggetto dei suoi dipinti. Narrazioni che non gli impediscono di costruire l’opera caricandola di implicazioni concettuali e facendone dunque il pretesto per interrogarsi sul linguaggio dell’arte. Paola Angelini (San Benedetto del Tronto, 1983) dà corpo a una realtà altra, nella quale i ricordi interagiscono con il suo immaginario e con le suggestioni della storia dell’arte del primo
Novecento italiano. La definizione tridimensionale dello spazio tende a riportare l’immagine al reale quanto le dominanti di colore, sempre accentuate da contrasti, tendono a creare un’atmosfera che conduce l’immagine nella sfera dell’intangibile, tra sogno e ricordo. Muovendosi nel solco tracciato dall’espressionismo tedesco e contaminando la sua figurazione con le dinamiche formali dell’astrazione, Ruprecht von Kaufmann (Monaco, 1974), mette in scena il rapporto tra umano e non umano, con una particolare attenzione per le ferite inflitte alla natura. Pittore drammatico, von Kaufmann lavora sull’idea del legame sacro che connette l’essere umano con il mondo animale, vegetale e minerale.