Negli ultimi giorni molti politici italiani hanno commentato le notizie in arrivo dall’Afghanistan dove, dopo una rapida avanzata in tutto il Paese, il 15 agosto i talebani hanno preso il controllo della capitale Kabul, in seguito anche alla fuga in Uzbekistan del presidente Ashraf Ghani.
In particolare, proprio nella giornata di Ferragosto la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha criticato dalla sua pagina Facebook la «disastrosa gestione» messa in atto dall’amministrazione statunitense guidata dal presidente democratico Joe Biden, affermando: «Peggio di così non era proprio possibile fare».
Nello scenario politico italiano Meloni non è l’unica ad aver puntato il dito contro Biden per ciò che sta succedendo a Kabul.
Ma quale presidente americano ha effettivamente ordinato il ritiro dall’Afghanistan? Facciamo chiarezza.
Chi ha fatto cosa
La situazione in Afghanistan – una “guerra infinita” (forever war), come viene definita negli Stati Uniti – è certamente complessa e sarebbe impossibile raccontarla in poche righe. Possiamo però guardare alle decisioni prese dalle diverse amministrazioni che si sono succedute dal 2001 a oggi per quanto riguarda l’invio o il ritiro di truppe, e la volubile posizione della Casa Bianca rispetto alla necessità di continuare o meno il conflitto.
Bush: inizia la guerra
La guerra in Afghanistan è iniziata nel settembre del 2001. Come ricostruisce il Council for foreign relations (Cfr) – un think tank indipendente con sede a Washington – il 18 settembre 2001, appena una settimana dopo l’attacco alle Torri Gemelle guidato da Al Qaida, l’allora presidente repubblicano George W. Bush firmò una risoluzione congiunta per autorizzare «l’uso militare della forza» nei confronti dei responsabili dell’attacco. Tra questi rientravano anche i talebani, che controllavano il Paese dal 1996 e avevano fornito supporto ad Al Qaida.
Dopo un’intensa fase iniziale, durante la quale le forze di Al Qaida si dispersero tra Afghanistan e Pakistan, tra il 2002 e il 2003 – quindi ancora sotto il presidente George W. Bush – gli Stati Uniti misero parzialmente da parte le operazioni armate per impegnarsi a ricostruire il Paese, collaborando con le Nazioni Unite e altri organi internazionali. Secondo il Cfr tra il 2001 e il 2009 gli Usa hanno speso 38 miliardi di dollari per aiuti umanitari nel Paese.
Nel 2003, quando gli Stati Uniti hanno invaso il vicino Iraq, erano presenti in Afghanistan circa 8 mila soldati americani.
Obama, il record di truppe e l’uccisione di Bin Laden
L’arrivo del democratico Barack Obama alla Casa Bianca, nel 2009, segnò un cambio di rotta e l’avvio di una nuova strategia in Afghanistan, caratterizzata anche da un maggiore impegno militare. L’obiettivo principale delle operazioni, dichiarato dallo stesso Obama in un discorso del 27 marzo 2009, era quello di «distruggere, smantellare e sconfiggere la rete di Al Qaida in Pakistan e in Afghanistan, e impedire un loro ritorno nel Paese in futuro».
Tra le altre cose Obama aumentò notevolmente il numero di truppe presenti in Afghanistan, raggiungendo nel 2010 una presenza di quasi 100 mila soldati: il livello più alto raggiunto durante tutto l’arco del conflitto.
Il 2 maggio 2011, quasi dieci anni dopo l’attacco alle Torri Gemelle e l’inizio della guerra, le truppe americane trovarono e uccisero il leader di Al Qaida Osama Bin Laden, che si era nascosto in un complesso di edifici in Pakistan.
L’evento venne celebrato come un successo per l’amministrazione e in seguito Obama annunciò di voler iniziare un graduale ritiro delle truppe, anche in vista dell’avvio di mediazioni diplomatiche con i talebani. Secondo i piani della Casa Bianca l’esercito americano avrebbe dovuto cedere il controllo delle operazioni alle forze locali entro il 2014, per poi lasciare definitivamente il Paese entro il 2016.
Come abbiamo accennato Hillary Clinton – citata da Giorgia Meloni nel suo post – è stata Segretaria di Stato durante il primo mandato di Obama, tra il 2009 e il 2013, e in quegli anni ha generalmente sostenuto le decisioni della sua amministrazione e del presidente. Al contrario, l’allora vicepresidente Joe Biden sconsigliava di aumentare il numero di truppe.
Come previsto, alla fine del 2014 si concluse la prima fase del piano: le operazioni militari americane terminarono formalmente, e i compiti precedentemente svolti dai soldati Usa furono stati trasferiti alle forze locali. Circa 10 mila soldati rimasero però sul campo per «addestrare» i soldati afghani e combattere «ciò che rimaneva di Al Qaida».
Queste truppe avrebbero dovuto lasciare l’Afghanistan nel 2016, ma alla fine del secondo e ultimo mandato di Obama, nel 2017, erano ancora lì.
Trump, l’accordo con i talebani e la data del ritiro
Il repubblicano Donald Trump chiarì la sua posizione sull’Afghanistan con un discorso dell’agosto 2017, circa sette mesi dopo l’inizio del suo mandato. In quell’occasione il presidente disse che, anche se inizialmente il suo «istinto» era quello di ritirarsi dal Paese, aveva poi deciso di continuare il conflitto per evitare che si creasse «uno spazio per i terroristi» subito dopo la partenza delle truppe.
Intanto, nel 2018 lo staff del presidente Trump avviò nuove trattative con i talebani. Queste si sono concluse il 29 febbraio 2020 con la firma di un accordo che prevedeva, tra le altre cose, il ritiro completo delle 12 mila truppe americane ancora presenti sul territorio afghano entro il 1° maggio 2021. In cambio, i talebani avrebbero dovuto interrompere ogni rapporto con gruppi terroristi, tra cui Al Qaida.
I piani sono cambiati nuovamente con l’arrivo della nuova amministrazione guidata dal democratico Joe Biden, insediatasi il 20 gennaio 2021.
Biden sposta in avanti i termini
Il 14 aprile scorso Joe Biden ha posticipato il termine entro il quale gli Usa avrebbero dovuto ritirarsi dall’Afghanistan: dal 1° maggio, come deciso da Trump, all’11 settembre, simbolico anniversario dell’attacco al World Trade Center. Al momento dell’annuncio di Biden erano presenti in Afghanistan tra 2.500 e 3.500 soldati americani.
Nel discorso in cui annunciava la sua decisione Biden ha ricordato di essere ormai il quarto presidente – due erano repubblicani e due democratici – ad avere a che fare con il conflitto, e ha affermato di non voler «lasciare la responsabilità a un quinto». Biden ha detto quindi di voler «concludere la guerra più lunga d’America» e «riportare le truppe a casa».
Successivamente, a inizio luglio Biden ha annunciato che le operazioni statunitensi in Afghanistan si sarebbero concluse entro il 31 agosto. È vero quindi, come sottolineato per esempio da Marco Di Maio e Matteo Renzi, che Biden ha tutto sommato seguito il percorso preparato dal suo predecessore, pur modificandone le tempistiche.
Negli ultimi giorni la Casa Bianca è stata costretta a modificare nuovamente i propri progetti per far fronte al ritorno dei talebani.
Che cosa è successo ora
L’annuncio dell’imminente ritiro di tutte le truppe statunitensi dall’Afghanistan, lo scorso aprile, ha aperto la strada alla ripresa di violenze e attacchi terroristici nel Paese. La prima offensiva talebana infatti ha avuto luogo nella provincia di Helmand, nel sud del Paese, il 4 maggio.
I talebani hanno continuato ad avanzare verso la capitale Kabul, sede del governo centrale guidato dal presidente Ashraf Ghani (al momento rifugiatosi in Uzbekistan) fino a conquistarla il 15 agosto.
Il presidente Biden ha quindi deciso rapidamente l’invio di altre 5 mila truppe – che si aggiungono alle circa mille che erano già presenti – nel Paese per aiutare con l’evacuazione del personale diplomatico statunitense e di altri collaboratori presenti sul campo. Non è chiaro al momento cosa ne sarà del termine ultimo per il ritiro dei soldati americani, fissato in teoria per il 31 agosto.
Il 14 agosto, annunciando l’avvio delle nuove truppe, Biden ha anche accennato alle responsabilità del suo predecessore Donald Trump affermando che l’accordo chiuso dalla sua amministrazione «ha lasciato i talebani nella posizione migliore, dal punto di vista militare, dal 2001». Trump ha risposto affermando che Biden è «scappato» (ran out) dal Paese senza seguire il «piano» che la sua amministrazione aveva preparato.
In conclusione
La guerra in Afghanistan, iniziata nel 2001, ha coinvolto quattro presidenti americani, due dei quali repubblicani (George W. Bush e Donald Trump) e due democratici (Barack Obama e Joe Biden).
Tutti hanno apportato contributi importanti allo sviluppo del conflitto, senza finora riuscire a concluderlo realmente. La presenza militare statunitense nel Paese ha raggiunto il picco durante il primo mandato di Obama, con quasi 100 mila soldati, numero che poi si è gradualmente ridotto fino ad arrivare ai circa 3 mila di aprile 2021.
Con uno storico accordo firmato con i talebani, l’amministrazione di Donald Trump è ha promesso un ritiro completo dal Paese, fissando come termine ultimo il 1° maggio 2021. In seguito il cambio di amministrazione e l’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca, il 20 gennaio 2021, ha modificato ancora una volta i piani.
Nei primi mesi del suo mandato l’attuale presidente ha affermato di voler mettere fine al conflitto in Afghanistan e assicurato il ritiro delle truppe americane entro il 31 agosto. Gli ultimi avvenimenti e la riconquista del Paese da parte dei talebani hanno poi fatto precipitare la situazione.
In conclusione quindi possiamo dire che di certo i due presidenti democratici hanno avuto un ruolo fondamentale nel conflitto in Afghanistan, ma le decisioni di George W. Bush e Donald Trump hanno ugualmente deciso il corso della guerra.