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Da domani Palazzo Reale accoglie, per la prima volta in Europa, un’ampia monografica dedicata a Leandro Erlich, una delle maggiori figure di spicco della scena artistica internazionale, le cui mostre, in tempi recenti e in tutto il mondo, hanno conquistato numeri record di visitatori.

Promossa da Comune di Milano – Cultura e prodotta da Palazzo Reale e Arthemisia, in collaborazione con lo Studio Erlich con la curatela di Francesco Stocchi, “Leandro Erlich. Oltre la soglia” propone ben 19 opere, tra le più note e iconiche, per la prima volta riunite in una sola sede.

Nato a Buenos Aires nel 1973, Leandro Erlich si definisce “un artista concettuale che lavora nel regno del reale”, e le sue installazioni sono il frutto di una ricerca profonda che gioca con i paradossi della percezione, utilizzando illusioni ottiche ed effetti sonori per scuotere le nozioni di senso comune. Palazzi su cui ci si arrampica (virtualmente), case sradicate e sospese in aria, ascensori che non portano da nessuna parte, scale mobili aggrovigliate come fossero fili di un gomitolo, sculture spiazzanti e surreali, barche che galleggiano in assenza di acqua, persone sospese alle pareti, video che sovvertono la normalità: installazioni stranianti che, pur riproducendo cose e situazioni spesso ordinarie (una scala, un giardino, la vista dal finestrino di un aereo) rappresentano una sorprendente e inquietante deviazione dal modo comune di percepirle.

Ogni opera di Leandro Erlich apre una finestra sul mondo sensibile svelando gli inganni visivi a cui può essere soggetta la mente, aprendo nuovi orizzonti e interrogativi. Suscitare stupore, meraviglia, curiosità, ma anche domande, dubbi, emozioni è l’obiettivo del fare artistico di Erlich, ed è proprio la partecipazione dello spettatore a completare l’opera.

“Ci interroghiamo costantemente sui termini della realtà”, afferma Erlich, e come nel mito della caverna, l’errore in cui si rischia sempre di incorrere è quello di scambiare il mondo sensibile per l’unica realtà possibile. Andare al di là di una percezione vuol dire entrare nel campo del pensiero, della riflessione, dell’arte.

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Il percorso espositivo inizia a sorprendere già nel Cortile di Palazzo Reale, dove è allestita la monumentale installazione site-specific “Bâtiment”, creata nel 2004 per la Nuit blanche di Parigi. Da allora è stata presentata in tutto il mondo, adattandosi alle caratteristiche dell’architettura locale. Il meccanismo espositivo è tuttavia sempre lo stesso: appoggiata orizzontalmente a terra è posizionata la riproduzione della facciata di un edificio, con balconi, nicchie, fregi, tettoie. I visitatori si “appendono” virtualmente alle decorazioni e un grande specchio inclinato a 45 gradi riflette l’immagine a terra su un piano verticale, dando l’illusione di una facciata reale e la sensazione che la legge di gravità non esista più.

Le installazioni proseguono nelle sale al piano terra di Palazzo Reale.

In “The cloud” (2012), diverse lastre di vetro stampato, sovrapposte una sull’altra, riproducono una nuvola multidimensionale, trasportando il mondo naturale nello spazio interno e facendo collassare in una teca il rapporto tra terra e cielo. Presentata nel 2000 alla Whitney biennial, l’installazione “Rain” (1999) è un’affascinante inversione tra esterno e interno, che sfida la certezza razionale per cui può piovere solo “fuori”: un’opera che genera una scena malinconica, come dichiara l’artista stesso, alla quale l’osservatore partecipa entrando “in uno stato contemplativo”; “Port de reflection” (2014), concepita per il Box project del Museo nazionale di Arte moderna e contemporanea di Seul, crea l’illusione di un riflesso attraverso sculture solide, barche in vetroresina che fluttuano in acque inesistenti e dondolano dolcemente (e artificiosamente) grazie un meccanismo nascosto, progettato per imitare il ritmo delle onde. Anche in “Lost garden” (2013) lo spettatore è intrappolato in un gioco di percezione e di trompe l’oeil, che in questa installazione ha per protagonista l’immagine idilliaca di un giardino immaginario, metafora di tutto ciò che si è perduto e si desidera ritrovare.

“Staircase” (2005) è un classico della ricerca di Erlich: l’installazione riproduce una scala vista dall’alto e piegata da un lato, che crea in chi la guarda un senso di vertigine e disorientamento.

“Hair salon”, così come “Changing” (entrambe del 2008), sono opere che ruotano intorno alla perturbante mancanza di riconoscimento di sé stessi in uno specchio e al successivo riconoscimento, dopo un momento di sconcerto e di scoperta, di due (o più) differenti realtà, allargando così l’orizzonte dello spettatore sull’ampiezza delle possibili interpretazioni del reale.

In “Classroom” (2017), il visitatore sperimenta l’incredibile sensazione di vedere la propria immagine proiettata in un’aula di scuola abbandonata. Particolarmente inquietante in seguito agli anni del lockdown, questa installazione non potrebbe avere senso senza la partecipazione dello spettatore posto di fronte a sé.

Le videosculture “Ascensor” (1995) e “Lifted lift” (2019) sono ascensori che non salgono né scendono: spogliati delle loro funzioni, questi oggetti diventano qualcosa di completamente diverso e conducono il visitatore in viaggi inaspettati che sovvertono le regole della logica e della comune percezione. L’ascensore è protagonista anche della videoinstallazione “Elevator pitch” (2011), in cui il visitatore si trova davanti alle porte di un ascensore che, aprendosi, svelano persone e situazioni che si attivano continuamente nell’angusto spazio.

“Window captive reflection” (2013) è una finestra che rivela una doppia immagine: la scena all’esterno e l’interno che si riflette nel vetro. Prestando attenzione, come afferma Erlich, “l’osservatore riesce a percepire sottili movimenti nell’ambiente esterno, come quello delle foglie che si muovono al vento, diventando testimone di questa sovrapposizione tra interno ed esterno, tra ciò che si vede e ciò che è proiettato, tra attività e quiete”.

“El avión” (2011) e “Night fly” (2015) riproducono la vista della superficie terrestre dagli oblò di un aereo immaginario, attivando la memoria della stupefacente esperienza del volo, che è un misto di stupore, inquietudine, meraviglia e disorientamento. In “Global express” (2011) vediamo scorrere in loop, attraverso quello che sembra essere il finestrino di un treno, scene urbane di New York, Parigi e Tokyo, in un unico reel. Le città si fondono l’una con l’altra in maniera ininterrotta, senza che il convoglio debba mai fermarsi.

Una delle prime videosculture di Erlich, “Subway” (2009) riproduce in loop un tipico tragitto in metropolitana. Come “El avión”, “Night fly” e “Global express”, l’installazione evoca il ritmo ipnotico del viaggio e del transito all’interno di un’esperienza museale.

Creata nel 1997, “The view” è stata la prima video-scultura di Erlich ispirata al paesaggio urbano crepuscolare e agli schermi viventi che finiscono per diventare le finestre degli appartamenti. L’opera presenta in un solo diorama vari aspetti della vita della classe media a Buenos Aires e rimanda evidentemente il film del 1954 “La finestra sul cortile”, riassumendo così i tre interessi principali dell’artista: il cinema, l’architettura e la vita quotidiana.

È dedicata alle conseguenze del cambiamento climatico l’opera “Traffic jam” (2018), che presenta la veduta di due file di auto costrette in un ingorgo e parzialmente ricoperte dalla sabbia, come in una moderna Pompei.

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